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Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il 23 aprile un nuovo regolamento che vieta la vendita, l’importazione e l’esportazione di beni realizzati con il lavoro forzato.

Grazie al regolamento adottato, le autorità degli Stati membri e la Commissione europea saranno in grado di indagare su merci sospette, catene di approvvigionamento e produttori.

Se si ritiene che un prodotto sia stato realizzato utilizzando il lavoro forzato, non sarà più possibile venderlo sul mercato europeo (anche online) e le spedizioni saranno intercettate alle frontiere dell’UE.

Indagini


L’apertura delle indagini si baserà su informazioni fattuali e verificabili che possono essere ricevute, ad esempio, da organizzazioni internazionali, autorità che hanno collaborato e informatori. Saranno presi in considerazione diversi fattori di rischio e criteri, tra cui la prevalenza del lavoro forzato imposto da uno Stato in determinati settori economici e aree geografiche.

I produttori di merci vietate dovranno ritirare i loro prodotti dal mercato unico dell’UE e donarli, riciclarli o distruggerli. Le società non conformi potrebbero essere multate. Le merci potranno essere rimesse sul mercato una volta che l’impresa eliminerà il lavoro forzato dalle sue catene di approvvigionamento.

Il testo deve ora ottenere l’approvazione formale da parte del Consiglio UE, e sarà poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Entrerà in vigore nei Paesi dell’UE tra tre anni.
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Il Parlamento europeo (PE) ha chiesto al Consiglio dell’UE di aggiungere alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE l’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e il diritto a un aborto sicuro e legale.

In una recente risoluzione non vincolante, il PE ha dichiarato la volontà di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, una richiesta già avanzata numerose volte. I deputati europei condannano il regresso sui diritti delle donne e tutti i tentativi di limitare o rimuovere gli ostacoli esistenti per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi (SRHR) e la parità di genere a livello globale, anche negli Stati membri dell’UE.

L’articolo 3 della Carta deve essere modificato per affermare che “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale”, ha chiesto il Parlamento di Strasburgo.

Il testo esorta i Paesi UE a depenalizzare completamente l’aborto in linea con le linee guida dell’OMS del 2022 e a rimuovere e combattere gli ostacoli all’aborto, invitando la Polonia e Malta ad abrogare le loro leggi e altre misure che lo vietano e lo limitano.

I deputati europei condannano il fatto che, in alcuni Stati membri, l’aborto sia negato dai medici, e in alcuni casi da intere istituzioni mediche, sulla base di una clausola di “coscienza”, spesso in situazioni in cui un eventuale ritardo metterà in pericolo la vita o la salute del paziente. In particolare, il Parlamento sottolinea che in Italia l’accesso all’assistenza all’aborto sta subendo erosioni, e che un’ampia maggioranza di medici si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile de facto l’assistenza all’aborto in alcune regioni.

I metodi e le procedure di aborto dovrebbero essere una parte obbligatoria del curriculum per medici e studenti di medicina, afferma il Parlamento europeo. I Paesi dell’UE dovrebbero garantire l’accesso all’intera gamma di servizi relativi alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, compresa l’educazione sessuale e relazionale completa e adeguata all’età. Dovrebbero essere messi a disposizione metodi e forniture contraccettivi accessibili, sicuri e gratuiti, nonché consulenza in materia di pianificazione familiare, prestando particolare attenzione al raggiungimento dei gruppi vulnerabili.

Le donne in povertà sono colpite in modo sproporzionato da barriere legali, finanziarie, sociali e pratiche e restrizioni all’aborto, dicono i deputati, invitando gli Stati membri a rimuovere queste barriere.

Inoltre, i deputati europei sono preoccupati per il significativo aumento dei finanziamenti per i gruppi anti-genere e anti-scelta in tutto il mondo, anche nell’UE. Invitano la Commissione europea a garantire che le organizzazioni che operano contro la parità di genere e i diritti delle donne, compresi i diritti riproduttivi, non ricevano finanziamenti dell’UE. Gli Stati membri e i governi locali devono aumentare la spesa per programmi e sussidi per i servizi sanitari e di pianificazione familiare.

La Francia è diventata il primo paese a sancire il diritto all’aborto nella sua costituzione il 4 marzo 2024. L’assistenza sanitaria, compresa la salute sessuale e riproduttiva, rientra nelle competenze nazionali. La modifica della Carta dei diritti fondamentali dell’UE per includere l’aborto richiederebbe un accordo unanime da parte di tutti gli Stati membri.
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Il Parlamento europeo (PE) ha approvato in via definitiva il 10 aprile nuove norme per la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane.

Il PE ha adottato l’accordo raggiunto con il Consiglio nel gennaio 2024 sulla revisione delle norme dell’UE in materia di gestione delle acque e di trattamento delle acque reflue urbane per una migliore protezione della salute pubblica e dell’ambiente.

La nuova direttiva prevede che, entro il 2035, le acque reflue urbane saranno sottoposte a trattamento secondario (cioè la rimozione di materia organica biodegradabile), prima di essere scaricate nell’ambiente, in tutti gli agglomerati delle dimensioni di 1.000 abitanti equivalenti (ad esempio, unità di misura standard che descrive l’inquinamento medio rilasciato da una persona al giorno) o più.

Entro il 2039, il trattamento terziario (ossia l’eliminazione dell’azoto e del fosforo) sarà applicato in tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue che coprono 150,000 a.e. e oltre, ed entro il 2045 in quelli che coprono 10.000 a.e. e oltre.

Un trattamento aggiuntivo che elimina un ampio spettro di microinquinanti (“trattamento quaternario”) sarà obbligatorio per tutti gli impianti superiori a 150,000 a.e. (e oltre 10,000 a.e. sulla base di una valutazione del rischio) entro il 2045.

Il monitoraggio di vari parametri di salute pubblica (come virus noti e agenti patogeni emergenti), inquinanti chimici, comprese le cosiddette “sostanze chimiche eterne” (sostanze per- e polifluoroalchiliche o PFAS), microplastiche e resistenza antimicrobica sarà rigorosamente monitorato.

La legge introduce inoltre la responsabilità estesa del produttore (in inglese extended producer responsability – EPR) per i medicinali per uso umano e i prodotti cosmetici, che dovrà cosi coprire i costi del trattamento quaternario (per rimuovere i micro-inquinanti dalle acque reflue urbane). Almeno l’80% dei costi sarà coperto dai produttori, integrati da finanziamenti nazionali.

I Paesi dell’UE saranno tenuti a promuovere il riutilizzo delle acque reflue trattate provenienti da tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, se opportuno, in particolare nelle zone soggette a stress idrico.

Prima che la legge possa entrare in vigore, il testo dovrà essere approvato formalmente anche dal Consiglio dell’Unione.

Nell’ottobre 2022 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, allineandola agli obiettivi politici dell’UE in materia di azione per il clima, economia circolare e riduzione dell’inquinamento. La legislazione è una delle iniziative chiave nell’ambito del piano d’azione dell’UE sull’inquinamento zero per l’aria, l’acqua e il suolo.
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Per migliorare la salute dei suoli dell’UE, il Parlamento europeo (PE) sostiene gli sforzi volti a monitorare e migliorare lo stato ecologico del suolo nell’UE.

Il 10 aprile il PE ha adottato la sua posizione sulla proposta della Commissione per una legge sul monitoraggio del suolo, il primo atto legislativo dell’UE dedicato al suolo.

I deputati europei sostengono l’obiettivo generale di avere suoli sani entro il 2050, in linea con l’ ambizione dell’UE sull’inquinamento zero e la necessità di una definizione armonizzata di salute del suolo, nonché di un quadro di monitoraggio completo e coerente per promuovere la gestione sostenibile del suolo e risanare i siti contaminati.

La nuova legge obbligherà i paesi dell’UE a monitorare prima e poi a valutare lo stato di salute di tutti i suoli sul loro territorio. Le autorità nazionali possono applicare i descrittori del suolo che meglio illustrano le caratteristiche del suolo di ciascun tipo di suolo a livello nazionale.

Il PE propone una classificazione a cinque livelli per valutare la salute del suolo (stato ecologico elevato, buono, moderato, suoli degradati e criticamente degradati). I suoli con uno stato ecologico buono o elevato sarebbero considerati sani.



Il Parlamento ha ora adottato la sua posizione in prima lettura. Il dossier sarà seguito dal nuovo Parlamento dopo le elezioni europee del 6-9 giugno.

Si stima che circa il 60-70% dei suoli europei si trovi in ​​uno stato malsano a causa di problemi quali l’espansione urbana, i bassi tassi di riciclaggio dei terreni, l’intensificazione dell’agricoltura e il cambiamento climatico. Secondo la Commissione europea, il degrado dei suoli è uno dei principali motori della crisi climatica e della biodiversità e riduce la fornitura di servizi ecosistemici chiave che costano all’UE almeno 50 miliardi di euro all’anno.

Questa legislazione risponde alle aspettative dei cittadini di proteggere e ripristinare la biodiversità, il paesaggio e gli oceani e di eliminare l’inquinamento, come espresso nelle proposte 2(1), 2(3), 2(5) delle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa .
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Il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione e la Commissione europea hanno proclamato la dichiarazione comune sulla mobilità ciclistica riportata dalla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea serie C del 3 aprile.

“Intendiamo sfruttare tutto il potenziale della mobilità ciclistica nell’UE, recita la Dichiarazione, che riconosce che la mobilità ciclistica è una delle forme di trasporto e svago più sostenibili, accessibili e inclusive, a basso costo e salutari, e prende atto della sua importanza fondamentale per la società e l’economia europea. La dichiarazione dovrebbe fungere da bussola strategica per le politiche e le iniziative attuali e future sulla mobilità ciclistica.

Nella Dichiariamo si sottolinea tra l’altro che Insieme alle autorità regionali e locali, l’UE e i suoi Stati membri hanno un ruolo fondamentale da svolgere nel sostenere l’ulteriore diffusione della mobilità ciclistica.

Le istituzioni europee si impegnano a:

sviluppare, adottare e rafforzare le politiche e le strategie in tema di mobilità ciclistica a tutti i livelli di governance;

adottare le misure necessarie per attuare tali politiche e strategie il più rapidamente possibile;

dare priorità alle misure che tengono conto della mobilità ciclistica nella pianificazione della mobilità sostenibile nelle zone urbane e suburbane nonché, se del caso, nelle zone rurali;

incoraggiare le imprese, le organizzazioni e le istituzioni a promuovere la mobilità ciclistica attraverso programmi di gestione della mobilità, come incentivi a recarsi al lavoro in bicicletta, la fornitura di biciclette (elettriche) aziendali, parcheggi e strutture adeguati per la mobilità ciclistica e l’uso di servizi di consegna basati sulle biciclette;

promuovere la mobilità ciclistica come mezzo salutare di trasporto o svago mediante campagne di sensibilizzazione e promozione, lo sviluppo di capacità e formazioni di professionisti, anche nei pertinenti consessi internazionali.

LA DICHIARAZIONE COMPLETA IN ITALIANO (PDF)
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In vista delle elezioni europee e alla vigilia di una riunione del Consiglio europeo, oltre 3.500 leader locali e regionali di tutta Europa si sono riuniti a Mons per definire l’agenda per il futuro dell’Europa, ribadendo il loro potere di realizzare e affrontare le sfide a livello locale.

Nel corso del 10° Vertice europeo delle regioni e delle città svoltosi a Mons, che ha segnato anche il 30 ° anniversario del Comitato europeo delle regioni (CdR), i leader locali e regionali hanno presentato una dichiarazione al primo ministro belga Alexander De Croo, in rappresentanza dell’attuale presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. La “Dichiarazione di Mons” delinea le priorità per un futuro dell’Europa più forte, più giusto e più resiliente.

Richieste chiave della Dichiarazione di Mons:

Incentivare gli investimenti pubblici: sono necessarie maggiori risorse di bilancio per affrontare le sfide attuali e future. Gli investimenti dovrebbero essere guidati dal principio “non danneggiare la coesione” e riconoscere che la politica di coesione deve continuare a essere lo strumento più importante e visibile dell’UE per ridurre le disparità, rafforzare la competitività dell’UE e catalizzare la trasformazione innovativa a lungo termine.

Soluzioni locali per gli obiettivi climatici: le autorità locali e regionali dovrebbero avere accesso diretto ai finanziamenti dell’UE per sviluppare soluzioni innovative che aiutino a raggiungere gli obiettivi del Green Deal, raggiungere la neutralità climatica e promuovere lo sviluppo sostenibile e la prosperità economica.

Affrontare le esigenze regionali: tutte le politiche dell’UE dovrebbero promuovere le pari opportunità, combattere la povertà, garantire posti di lavoro e garantire l’uguaglianza di genere in tutte le regioni, riconoscendo le loro diverse caratteristiche, comprese quelle rurali, urbane e ultraperiferiche.

Allargamento e riforme dell’UE: i leader regionali e locali dovrebbero essere coinvolti nella preparazione delle riforme dell’UE e del processo di allargamento. I preparativi per l’allargamento con tutti i paesi candidati dovrebbero basarsi sul principio del partenariato e promuovere la governance multilivello e il decentramento.

Sussidiarietà attiva: il Comitato europeo delle regioni dovrebbe avere un ruolo più forte nella struttura istituzionale dell’UE e nel processo legislativo. Nelle future riforme dell’UE, il livello locale e regionale della democrazia europea dovrebbe essere rafforzato attraverso riforme attive di sussidiarietà.

Prima dell’adozione della Dichiarazione di Mons, i leader dei gruppi politici del Parlamento europeo e molti dei loro principali candidati si sono rivolti ai politici locali e regionali in una sessione dedicata alle elezioni europee. Promuovere l’impegno democratico e contribuire a un dibattito pubblico aperto sulle sfide e sulle opportunità dell’UE sono gli obiettivi principali del CdR per mobilitare i cittadini europei al voto.

La dichiarazione del vertice dei leader locali e regionali servirà da posizione delle regioni e delle città ai leader delle istituzioni dell’UE e ai capi di Stato e di governo che si riuniranno a Bruxelles il 21 e 22 marzo in vista delle elezioni europee.

Dichiarazione di Mons

Sito del vertice

Memorandum d’intesa tra il CdR e il Parlamento europeo sulle elezioni europee
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Il 28 febbraio, il Parlamento europeo (PE) ha messo in guardia contro il declino democratico di molti Stati membri e hanno criticato l’inerzia della Commissione nel salvaguardare i valori dell’UE.

Nella sua valutazione del rapporto 2023 sullo Stato di diritto della Commissione europea, approvato dalla commissione per le libertà civili del PE a gennaio, il Parlamento prende atto di alcuni sviluppi positivi e concreti, tra cui gli sforzi del nuovo governo polacco per rafforzare lo Stato di diritto e la libertà dei media, sottolineando al contempo la persistente minacce alla democrazia, allo Stato di diritto e ai diritti fondamentali, nonché problemi o incidenti specifici in diversi Stati membri dell’UE.

Il Parlamento europeo rileva le differenze tra gli Stati membri in termini di indipendenza della magistratura, soprattutto per quanto riguarda la nomina dei giudici di alto livello, anche in Ungheria. I deputati europei sono preoccupati per i cambiamenti proposti nelle istituzioni e nel panorama dei media in Slovacchia, nonché per la proposta di legge sull’amnistia in Spagna. La corruzione rimane una preoccupazione significativa per Strasburgo, che condanna nuovamente le denunciate pratiche sistemiche discriminatorie, non trasparenti e sleali contro le aziende di alcuni settori in Ungheria e l’uso dei fondi UE per arricchire gli alleati politici del governo del paese, mentre persistono ostacoli per gli informatori.

I deputati europei vogliono porre fine alla cittadinanza attraverso programmi di investimento come quello di Malta e richiamano l’attenzione sul riciclaggio di denaro, una questione transfrontaliera intrinsecamente legata alla corruzione. Anche l’indipendenza delle autorità di controllo è minacciata, come nel caso della gestione dello scandalo spyware da parte della Grecia, mentre c’è ancora molto lavoro da fare per proteggere i giornalisti dagli SLAPP e da altre minacce.

La società civile deve affrontare sfide in molti paesi, inclusa la Slovacchia, dove sono stati annunciati piani per limitare il lavoro delle ONG e stigmatizzare le organizzazioni che ricevono finanziamenti esteri. I deputati europei deplorano l’uso eccessivo della forza, il trattamento discriminatorio da parte della polizia e l’uso sproporzionato della forza contro i manifestanti, facendo riferimento in particolare alle detenzioni di massa in Francia e all’uccisione di tre giovani rom in Grecia. Il Parlamento afferma che il declino dei diritti e l’indebolimento dei diritti delle minoranze hanno un impatto sulle minoranze religiose, sulle persone LGBTIQ, sulle donne, sui rifugiati e sui migranti.

Ancora una volta, il PE sottolinea che il monitoraggio della Commissione europea non è sufficiente e dovrebbe evolversi per includere azioni concrete di applicazione della normativa , condannando il mancato rispetto, a volte “aperto e spudorato”, del diritto dell’UE da parte di diversi Stati membri.

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Il 27 febbraio il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva nuove misure e sanzioni per contrastare la criminalità ambientale.

Tra i nuovi reati figurano il commercio illegale di legname, l’esaurimento delle risorse idriche, le gravi violazioni della legislazione dell’UE in materia di sostanze chimiche, e l’inquinamento provocato dalle navi. I deputati europei hanno voluto inserire nel testo anche i cosiddetti “reati qualificati“, vale a dire quelli che portano alla distruzione di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio (ad esempio gli incendi boschivi su vasta scala o l’inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo).

I reati ambientali commessi da persone fisiche e rappresentanti d’impresa saranno punibili con la reclusione, a seconda della durata, della gravità o della reversibilità del danno. Per i cosiddetti reati qualificati, il massimo è di 8 anni di reclusione, per quelli che causano la morte di una persona 10 anni e per tutti gli altri 5 anni.

Tutti i trasgressori saranno tenuti a risarcire il danno causato e ripristinare l’ambiente danneggiato, oltre a possibili sanzioni pecuniarie. Per le imprese l’importo dipenderà dalla natura del reato: potrà essere pari al 3 o 5% del fatturato annuo mondiale o, in alternativa, a 24 o 40 milioni di EUR. Gli Stati membri potranno decidere se perseguire i reati commessi al di fuori del loro territorio.

I deputati europei hanno insistito con successo durante i negoziati sull’introduzione di sostegno e assistenza nel contesto dei procedimenti penali per gli informatori (whitleblower) che denunciano reati ambientali. Inoltre, hanno introdotto l’obbligo per gli Stati membri di organizzare corsi di formazione specializzati per forze dell’ordine, giudici e pubblici ministeri, redigere strategie nazionali e organizzare campagne di sensibilizzazione contro la criminalità ambientale.

I dati sui reati ambientali raccolti dai governi dell’UE dovrebbero inoltre consentire di affrontare meglio la questione e aiutare la Commissione europea ad aggiornarne regolarmente l’elenco.

La direttiva entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Gli Stati membri avranno poi due anni per recepire le norme nel diritto nazionale.

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