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80 anni fa, in via Poerio a Milano, “in casa Rollier, una ventina di antifascisti provenienti dal carcere e dal confine che avevano risposto all’appello di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi e al loro Manifesto di Ventotene fondarono il 27-28 agosto 1943 il Movimento Federalista Europeo“. Così recita la targa che a Milano ricorda la nascita del MFE, richiamandone il ruolo politico “di avanguardia”: una nuova organizzazione politica, apartitica, composta da militanti provenienti da tutti gli ambienti sociali e culturali e concentrata esclusivamente sulla “difficile e lunga lotta per la costruzione di un’Europa libera e unita”.

Lo ricorda il MFE in un comunicato stampa.



Sono stati 80 anni di battaglie politiche spesso controcorrente, scrive il MFE, in un’Europa in cui è prevalso un processo di integrazione di tipo funzionalista e in cui i federalisti hanno lottato per mantenere vivo il progetto dell’unione politica federale. Si sono battuti sia a livello culturale – sviluppando la teoria del federalismo come pensiero politico originale non solo sul piano istituzionale, ma anche su quello della capacità di rispondere alle sfide dell’interdipendenza sempre più stretta a livello continentale e mondiale -; sia a livello politico, sfruttando le contraddizioni del processo funzionalista e quindi identificando e preparando i passaggi politici che inserivano elementi di natura federale nel processo. In particolare, le grandi campagne per l’elezione diretta a suffragio universale del Parlamento europeo e per la nascita di una moneta unica.



“Oggi il MFE continua a battersi, in Italia e in Europa, nel quadro dell’Unione dei federalisti europei (UEF), per un’Europa federale, sovrana e democratica”, continua il comunicato del MFE. Dopo essersi impegnato con proposte precise per una riforma federale dell’Unione europea nel lungo processo della Conferenza sul futuro dell’Europa, ora sostiene la proposta che il Parlamento europeo, a seguito della Conferenza e del consenso maturato dai cittadini in questo ambito, si prepara ad approvare, chiedendo l’avvio di una Convenzione per la revisione dei Trattati.



Il ritorno della guerra in Europa, le grandi sfide della transizione ecologica e digitale, le tensioni internazionali dimostrano ancora una volta che il messaggio al cuore del Manifesto di Ventotene – l’urgenza della Federazione europea – resta profetico per il destino dell’Europa e del mondo, che ha bisogno del contributo e del modello europeo federale per costruire un nuovo multilateralismo. “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

LA SEZIONE CELEBRATIVA SUL SITO DEL MFE
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“Gli Stati europei in tutti questi anni non hanno saputo trovare un accordo per affrontare insieme con un vero piano europeo uno dei problemi più complessi e drammatici del nostro tempo”. Così recita una nota del Movimento Federalista Europeo (MFE) pubblicata sul proprio sito. Chi accusa le istituzioni europee dovrebbe sapere che le soluzioni comuni non avanzano per colpa dei governi degli Stati membri; sono loro a mantenere la gestione del problema a livello nazionale e sulla base di una politica di tipo emergenziale. Per questo è non solo necessario, ma anche assolutamente urgente, creare un nuovo approccio politico complessivo, attribuendo direttamente alle istituzioni europee la definizione delle norme e le scelte politiche di tipo strategico in questo campo, nel quadro di una profonda riforma dei Trattati che porti alla nascita di una vera unione politica federale.

L’Unione europea è paralizzata da anni e anni sul tema cruciale della politica migratoria, continua l’MFE, nonostante questa materia sia in parte una competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati; di fatto, però – sia perché la competenza sul controllo delle frontiere esterne dell’UE resta agli Stati membri (nonostante Schengen abbia abolito le frontiere interne, unificando lo spazio europeo), sia perché lo stesso vale per la gestione dei flussi, la definizione dello status delle persone che arrivano senza regolare permesso nel Paese, l’organizzazione dell’accoglienza, e così via – sono i governi nazionali che devono accordarsi sulle possibili soluzioni comuni a livello europeo. In questo modo, vista la sensibilità del tema sul piano del consenso interno e data l’incapacità di qualsiasi Stato da solo di pensare un piano di ampio respiro che possa anche bilanciare le esigenze di sicurezza con il necessario senso di giustizia e umanità, gli Stati finiscono con il vanificare le proposte di iniziative comuni promosse dall’UE in quanto tale. Come dimostra l’accordo appena raggiunto in Lussemburgo tra i Ministri degli Interni (a maggioranza, perché Polonia e Ungheria si sono opposte e si preparano a boicottarlo), gli Stati sono ancora fermi alla ricerca di un accordo per suddividersi (o non suddividersi) quote di migranti richiedenti asilo, senza pensare di affrontare realmente il problema nella sua interezza.

Le tragedie come quelle che sono appena accadute al largo della Grecia, denuncia l’MFE, dove si è consumata una strage dalle dimensioni abnormi, diventano allora, drammaticamente, l’occasione per riflettere sui limiti – e i costi, non solo materiali, ma anche politici e morali – dell’attuale assetto del sistema istituzionale europeo, che lascia il governo dei problemi politicamente più sensibili agli Stati, e non prevede, neppure di fronte alla necessità di trovare soluzioni comuni, strumenti adeguati nelle mani delle istituzioni dell’Unione europea. Il fatto, soprattutto, di non avere una vera politica estera europea, ma solo un debole coordinamento tra i governi nazionali (che la Commissione europea tenta di promuovere e sostenere, ma su cui non ha potere effettivo) rendono gli Europei così deboli sul piano internazionale, da farli diventare vittime dei ricatti dei regimi senza scrupoli che la circondano.

Gli Stati europei subiscono così, impotenti e colpevoli per questa impotenza, un vero e proprio uso strumentale, da parte di questi governi, della vita delle persone disperate in cerca di rifugio o di prospettive per un futuro dignitoso. Ogni tanto, nei momenti più eclatanti, l’informazione porta alla ribalta lo strazio delle famiglie intrappolate lungo la rotta balcanica, oppure nella terra di nessuno tra la Bielorussia e la Polonia, o ci ricorda i morti nel tentativo di attraversare i confini terrestri o il Mediterraneo; ma la realtà è che si tratta di una situazione perenne, in cui la disperazione viene usata per arricchire la criminalità, e ancor peggio per ricattare o destabilizzare l’Europa: che si vogliano finanziamenti o accordi vantaggiosi, o che si cerchi di creare tensioni e di destabilizzare, la logica è sempre quella di imporre la disumanizzazione delle persone.

Per gli Europei, non saper esercitare alcuna autorevolezza per combattere questo comportamento vergognoso è una sconfitta innanzitutto morale, che porta con sé un deterioramento della coscienza delle nostre società e alimenta la cattiva politica (nazionalista). Se gli Stati si mettessero d’accordo potrebbero sicuramente migliorare la situazione, creando ad esempio corridoi umanitari, una forza congiunta per il pattugliamento dei confini e i salvataggi in mare, o regole e norme chiare e omogenee per l’attribuzione di permessi di soggiorno o lavoro, oltre che per la definizione dello status di rifugiato; ma anche se l’elenco potrebbe continuare, il vero punto è che non basta un accordo tra gli Stati per creare una vera capacità politica di intervento nelle aree limitrofe, o in Africa e nel Medio Oriente, di forza e dimensione adeguate; ed è questo che sarebbe necessario per affrontare il problema.

La tragedia appena accaduta nello Ionio, sottolinea il Movimento Federalista, ci ammonisce pertanto sul fatto che l’Unione europea è di fronte al bivio, e deve decidere se farsi unione politica, capace di diventare autonoma e autorevole nella politica internazionale – ipotesi cui sta lavorando il Parlamento europeo in continuità con la Conferenza sul futuro dell’Europa –, o se perpetrare il sistema delle sovranità politiche nazionali, impotenti quando si deve agire, ma abbastanza forti da bloccare la nascita di una capacità di azione comune. In un mondo in cui la democrazia è sfidata con le armi, le guerre asimmetriche, la disinformazione, il ricatto sulle materie prime e sul consenso interno, è chiaro cosa significa rimanere nello status quo.

Piangere la tragedia dei morti non basta più, ammonisce l’MFE né tantomeno additare “la brutta Europa” e limitarsi ad invocare scelte diverse dei governi nazionali. La vera battaglia è quella di dare sostegno al tentativo del Parlamento europeo di cambiare i Trattati per creare gli strumenti europei per agire.
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A tre settimane dal lancio della Petizione “Rispettate la volontà dei cittadina e la Conferenza sul futuro dell’Europa” promossa in Italia dal Movimento Federalista Europeo (MFE)insieme agli Ambassador dei Panel dei cittadini della CoFoE e all’UEF (Unione dei Federalisti Europei), in collaborazione con i parlamentari europei del Gruppo Spinelli, è tempo di primi bilanci.

Così un comunicato stampa del MFE.


La petizione trova il sostegno di un fronte ampio e bipartisan di forze politiche, rappresentanti della società civile e cittadini come testimonia l’evento di lancio della petizione in Italia del 3 marzo. A questo, continua il comunicato, si unisce l’intervento attivo da parte di sezioni locali di partiti che hanno raccolto l’invito di diffondere la petizione tra i propri iscritti e simpatizzanti.

Il sostegno alla petizione viene anche dal fatto che fra qualche mese sarà un anno dalla conclusione di quell’esperimento democratico che è stata la Conferenza sul futuro dell’Europa e che non c’è ancora stata una risposta chiara da parte del Consiglio dell’UE.

Per questo, esorta l’MFE, è così importante di sottoscrivere e diffondere questa “Petizione al Consiglio dell’Unione europea” (www.mfe.it/petizione) perché il Consiglio rispetti la volontà dei cittadini e il lavoro della Conferenza sul futuro dell’Europa. C’è tempo per sottoscrivere la petizione fino al 5 maggio 2023.
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