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Il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura (CPT) ha chiesto ai governi europei di proteggere da ogni forma di maltrattamento i cittadini stranieri privati della libertà secondo le leggi sull’immigrazione e di porre fine ai respingimenti ai confini terrestri o marittimi, in particolar modo ai confini dell’Unione europea. Nel suo rapporto annuale 2022, il CPT ricorda che dal 2009 ha ricevuto numerose segnalazioni di maltrattamento di cittadini stranieri da parte della polizia e delle guardie di frontiera e ha visitato centri di immigrazione vicini ai confini in pessime condizioni.

Il Comitato ha inoltre incontrato un numero crescente di persone che hanno dichiarato di essere state oggetto di “respingimenti”, allontanamento violento attraverso l’uso della forza, senza che fossero considerate le loro situazioni personali, durante le intercettazioni in mare, nelle zone di transito ai valichi di frontiera, nelle stazioni di polizia e delle guardie di frontiera o dopo l’arresto vicino ai confini terrestri.

“Numerosi paesi europei affrontano sfide molto complesse per la migrazione ai loro confini, ma ciò non significa che possono ignorare i loro obblighi in materia di diritti umani. I respingimenti sono illegali e inaccettabili e devono terminare. I governi devono avere delle tutele efficaci per proteggere le persone detenute secondo le leggi sull’immigrazione e istituire meccanismi per prevenire qualsiasi forma di maltrattamento ai confini”, ha dichiarato il Presidente del CPT Alan Mitchell.

Il CPT riconosce il diritto degli Stati di controllare i loro confini sovrani e le sfide sproporzionate che affrontano determinati paesi confrontati con grandi flussi migratori a causa della loro situazione geografica. Per affrontare tutto questo, il Comitato ha sottolineato più volte che queste sfide richiedono un approccio concertato a livello europeo, ma non possono assolvere i singoli Stati dall’onorare i loro obblighi in materia di diritti umani. Negli anni, il CPT ha identificato chiari schemi di maltrattamento fisico nei confronti di cittadini stranieri nel contesto delle operazioni di respingimento, principalmente sotto forma di percosse al momento dell’arresto (pugni, schiaffi e colpi di manganello) da parte della polizia o delle guardie di frontiera o costiere, che talvolta rimuovono le loro etichette identificative o le mostrine della polizia per nascondere la loro identità.

Il rapporto chiede ai governi di rafforzare le salvaguardie volte a ridurre in modo significativo il rischio di maltrattamento e deportazioni collettive ai confini. Ogni cittadino straniero intercettato o arrestato alla frontiera dovrebbe essere identificato e registrato individualmente, dovrebbe essere sottoposto a un esame medico e a una valutazione della vulnerabilità e dovrebbe avere l’opportunità di presentare domanda d’asilo. Gli ordini di allontanamento dovrebbero essere individualizzati e consentire la possibilità di ricorso in base a una valutazione individuale. Fin dall’inizio della privazione della loro libertà, le persone dovrebbero ricevere accesso a un avvocato e a un medico e dovrebbero essere informate dei loro diritti e della loro situazione giuridica. Altre garanzie necessarie contro il maltrattamento sono il mantenimento di registri di custodia individualizzati e l’esposizione visibile di etichette o numeri identificativi sulle uniformi degli agenti delle forze dell’ordine, i quali non devono indossare passamontagna. Le attività di controllo alle frontiere dovrebbero essere registrate per prevenire maltrattamenti o false accuse.

Nel 2022, il CPT ha condotto sette visite periodiche (Croazia, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e San Marino) e nove visite per l’esame di questioni specifiche (Azerbaigian, Belgio, Cipro, Grecia, Montenegro, Repubblica di Moldova, Romania, Turchia e Regno Unito).
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Una versione aggiornata del corso online HELP (Programma europeo per la formazione dei professionisti del diritto sui diritti umani) del Consiglio d’Europa sul divieto di maltrattamento è ora disponibile sulla piattaforma di e-learning HELP. Lo rende noto il sito del Coniglio d’Europa.

Oltre 10.000 ricorsi pendenti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo riguardano conflitti tra Stati membri. Questi casi, spesso complessi, riguardano l’Articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.

stato aggiunto un nuovo modulo dedicato al divieto di maltrattamento in tempi di conflitti, che include l’impatto di genere ed è particolarmente rilevante nelle zone di guerra. Questo corso online HELP gratuito ha lo scopo di assistere i professionisti del diritto negli Stati membri del Consiglio d’Europa nell’applicazione efficace delle norme sul divieto di maltrattamento.
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Nella causa De Giorgi c. Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha ritenuto che vi fosse stata violazione del divieto di trattamento inumano e degradante.

lo riferisce un comunicato stampa della Corte. L’Italia è stata condannata dalla Corte per il ‘trattamento inumano e degradante’ della donna perché le autorità non hanno agito per proteggerla dall’ex marito violento.

La ricorrente in questo caso si è lamentata del fatto che, nonostante la presentazione di diverse denunce penali, le autorità italiane non le avevano offerto protezione e assistenza dopo che aveva subito violenze domestiche per mano del marito, dal quale era stata separata dal 2013.

La Corte ha ritenuto che le autorità italiane non avessero condotto una valutazione del rischio di maltrattamento incentrata specificamente sul contesto della violenza domestica e in particolare sulla situazione della ricorrente e dei suoi figli, valutazione che avrebbe giustificato misure preventive concrete a tutela loro da tale rischio.

Le autorità avevano quindi violato il loro dovere di proteggere la ricorrente e i suoi figli dagli atti di violenza domestica del marito. La Corte ha ritenuto che le autorità italiane non avessero intrapreso alcuna azione in risposta al grave rischio di maltrattamento cui sono esposti la ricorrente e i suoi figli e che, con la loro omissione, avevano creato una situazione di impunità, con il marito ancora da processare per le lesioni inflitte al ricorrente e l’indagine sulle altre denunce del ricorrente rimaste pendenti dal 2016.
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