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La Commissione Europea informa di aver deciso il 13 marzo di deferire l’Italia (INFR(2017)2181) alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il mancato rispetto completo degli obblighi di raccolta e trattamento stabiliti dalla Direttiva sul Trattamento delle Acque Reflue Urbane ( Direttiva 91/271/CEE ).

La Direttiva mira a proteggere la salute delle persone e l’ambiente richiedendo che le acque reflue urbane siano raccolte e trattate prima dello scarico nell’ambiente. Le acque reflue non trattate possono mettere a rischio la salute umana e inquinare laghi, fiumi, suolo e acque costiere e sotterranee. Le informazioni ricevute dall’Italia hanno evidenziato un diffuso mancato rispetto della direttiva in un totale di 179 agglomerati italiani.

L’Italia deve ancora garantire che in 36 agglomerati siano presenti sistemi di raccolta delle acque reflue (o sistemi individuali o altri sistemi adeguati in casi giustificati). Per 130 agglomerati, l’Italia non riesce ancora a trattare correttamente le acque reflue raccolte. Per gli agglomerati che scaricano le acque reflue in aree sensibili è necessario un trattamento più rigoroso delle acque reflue.

L’Italia continua a non rispettare tale obbligo in 12 agglomerati. Infine, per 165 agglomerati, l’Italia non riesce a monitorare che gli scarichi idrici soddisfino, nel tempo, le condizioni di qualità richieste.

La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel giugno 2018, seguita da un parere motivato nel luglio 2019. Nonostante alcuni progressi, molti agglomerati continuano a non rispettare gli obblighi della direttiva. La Commissione ritiene che gli sforzi compiuti dalle autorità italiane siano stati finora insufficienti e deferisce pertanto l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
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La Commissione europea informa in un comunicato stampa di aver deciso il 16 novembre di deferire Belgio, Grecia e Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea (“Corte di giustizia”) per non aver applicato correttamente le norme della direttiva sui ritardi di pagamento ( direttiva 2011/7/UE ).

La direttiva sui ritardi di pagamento obbliga le autorità pubbliche a pagare le fatture entro 30 giorni (o 60 giorni per gli ospedali pubblici). Rispettando queste scadenze di pagamento, le autorità pubbliche danno l’esempio nella lotta contro la cultura dei cattivi pagamenti nel contesto imprenditoriale.

I ritardi nei pagamenti hanno effetti negativi sulle imprese, riducendo la liquidità, impedendo la crescita, ostacolando la resilienza e potenzialmente ostacolando i loro sforzi per diventare più verdi e digitali. Nell’attuale contesto economico, le imprese, e in particolare le PMI, fanno affidamento su pagamenti regolari per operare e mantenere l’occupazione.

La Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia a causa di una legislazione e di una prassi nazionali che escludono il noleggio di apparecchiature di intercettazione per indagini penali dal campo di applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento. L’esclusione significa che ai fornitori di tali servizi non viene garantito il pagamento entro i termini prescritti dalla legge e non possono far valere i propri diritti ai sensi della direttiva. La procedura di infrazione è stata avviata nel 2021. Tuttavia, l’Italia non ha ancora presentato alcuna modifica per adeguare la propria legislazione e la propria prassi alla Direttiva.

Direttiva sui ritardi di pagamento

Decisione di infrazione contro l’Italia (INFR(2021)4037)
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La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver posto fine alla discriminazione dei docenti stranieri.

Ciò è dovuto al fatto che l’Italia non applica adeguatamente la legislazione nazionale che recepisce le norme dell’UE sulla libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Ai sensi del diritto dell’UE, i cittadini dell’UE che esercitano il loro diritto alla libera circolazione non devono essere discriminati a causa della loro nazionalità per quanto riguarda l’accesso all’occupazione e le condizioni di lavoro. La legge italiana fornisce un quadro accettabile per la cosiddetta ricostruzione delle carriere dei lettori stranieri (‘Lettore’) nelle università italiane. Ciò è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-119/04.

Tuttavia, ad oggi, la maggior parte degli atenei in Italia non ha compiuto i passi necessari per una corretta ricostruzione delle carriere dei Lettori. Ciò include l’adeguamento della retribuzione, dell’anzianità e dei relativi benefici previdenziali a quelli di un ricercatore con contratto a tempo parziale. Comprende anche il diritto agli arretrati a partire dall’inizio del rapporto di lavoro. Di conseguenza, la maggior parte dei docenti stranieri non ha ancora ricevuto il denaro e i benefici a cui ha diritto.

La Commissione ha avviato la procedura d’infrazione contro l’Italia nel 2021 e ha dato seguito a un parere motivato nel gennaio 2023. Nonostante la legislazione nazionale e la sentenza della Corte, i docenti stranieri continuano a essere discriminati. Per questo motivo la Commissione deferisce ora l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

L’articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) vieta la discriminazione dei cittadini dell’UE sulla base della loro nazionalità in un altro Stato membro dell’UE quando si tratta di accesso all’occupazione e condizioni di lavoro.

Questa disposizione del trattato è ulteriormente dettagliata nel regolamento (UE) n. 492/2011 sulla libera circolazione dei lavoratori. L’articolo 7, paragrafo 1, vieta agli Stati membri di trattare i lavoratori dell’UE in modo diverso dai lavoratori nazionali in base alla loro nazionalità per quanto riguarda qualsiasi condizione di impiego e di lavoro, in particolare per quanto riguarda la retribuzione.

Per maggiori informazioni

Procedura di infrazione

Banca dati delle decisioni di infrazione
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La Commissione europea informa di aver deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver dato piena esecuzione a una sentenza della Corte del 10 aprile 2014 sul trattamento delle acque reflue urbane. All’epoca, la Corte ha ritenuto che l’Italia avesse violato i propri obblighi ai sensi della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE del Consiglio) in quanto 41 agglomerati non erano riusciti a garantire che le acque reflue urbane fossero adeguatamente raccolte e trattate.

Nonostante i notevoli progressi compiuti, scrive la Commissione, le acque reflue urbane non sono ancora adeguatamente trattate in cinque agglomerati, uno in Valle d’Aosta e quattro in Sicilia. La mancanza di adeguati sistemi di trattamento delle acque reflue per questi cinque agglomerati comporta rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l’ambiente marino nelle aree sensibili dal punto di vista ambientale in cui vengono scaricate le acque reflue non trattate.

Nonostante la lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’UE inviata dalla Commissione all’Italia il 17 maggio 2018, la conformità non è ancora stata raggiunta nei cinque agglomerati sopra menzionati. Sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, il pieno rispetto della sentenza del 10 aprile 2014 non sarà raggiunto prima del 2027. L’Italia avrebbe dovuto garantire il rispetto della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane dal 31 dicembre 1998. Questo secondo rinvio alla Corte potrebbe comporterà l’imposizione di sanzioni pecuniarie all’Italia, tenuto conto della gravità dell’infrazione e della sua durata.

La piena attuazione delle norme stabilite nella legislazione dell’UE è essenziale per la protezione della salute umana e dell’ambiente naturale. Il Green Deal europeo stabilisce l’ ambizione di inquinamento zero per l’UE.

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane impone agli Stati membri di garantire che gli agglomerati (cittadine, città, insediamenti) raccolgano e trattino adeguatamente le proprie acque reflue urbane. Le acque reflue non trattate possono essere contaminate da batteri nocivi e quindi presentare un rischio per la salute pubblica. Contiene anche sostanze nutritive come azoto e fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano altre forme di vita, un processo noto come eutrofizzazione.
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La Commissione europea ha deciso il 26 gennaio di deferire la Bulgaria, l’Irlanda, la Grecia, l’Italia, la Lettonia e il Portogallo alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver attuato varie disposizioni del regolamento n. specie esotiche (le “specie esotiche invasive” o “regolamento IAS”). Le specie esotiche invasive sono piante e animali introdotti accidentalmente o deliberatamente in un’area in cui normalmente non si trovano.

Lo rende noto un comunicato della Commissione europea.
Le specie aliene invasive, scrive la Commissione, sono una delle cinque principali cause di perdita di biodiversità in Europa e nel mondo. Sono piante e animali che vengono introdotti accidentalmente o deliberatamente a seguito dell’intervento umano in un ambiente naturale dove normalmente non si trovano.

Rappresentano una grave minaccia per le piante e gli animali autoctoni in Europa, causando un danno stimato di 12 miliardi di euro all’anno per l’economia europea. Affrontarle è un aspetto importante dell’obiettivo dell’UE di arrestare la perdita di biodiversità, come articolato nel Green Deal europeo e nella Strategia europea per la biodiversità per il 2030.

Il regolamento IAS include misure da adottare in tutta l’UE in relazione alle specie esotiche invasive che destano preoccupazione per l’UE. L’Italia e altro 5 Stati membri non hanno stabilito, attuato e comunicato alla Commissione un piano d’azione (o una serie di piani d’azione) per affrontare le principali vie di introduzione e diffusione di queste specie esotiche invasive. Inoltre, la Bulgaria e la Grecia non hanno ancora istituito un sistema di sorveglianza delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale, né lo hanno incluso nel loro sistema esistente, anche se il termine per farlo era gennaio 2018. Inoltre, la Grecia non dispone delle strutture per svolgere i controlli ufficiali necessari per impedire l’introduzione intenzionale di specie esotiche invasive.

Nel giugno 2021 la Commissione ha inviato lettere di costituzione in mora a 18 Stati membri (Belgio, Bulgaria, Cechia, Germania, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia ), seguito da pareri motivati ​​a 15 di essi (Belgio, Bulgaria, Cechia, Irlanda, Grecia, Francia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia) nel febbraio 2022.

Da allora, undici stati membri hanno rispettato i loro obblighi e uno di loro adotterà prontamente i passaggi mancanti.

Tuttavia, nonostante alcuni progressi, i restanti sei Stati membri (Bulgaria, Grecia , Irlanda, Italia, Lettonia e Portogallo)non hanno affrontato completamente le lamentele. La Commissione ritiene che finora gli sforzi delle autorità di questi sei Stati membri siano stati insoddisfacenti e insufficienti e li deferisce pertanto alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
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