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Condizioni di lavoro: la Commissione esorta l’Italia a prevenire l’abuso di contratti a tempo determinato e ad evitare condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico La Commissione europea ha deciso il 19 aprile di inviare un parere motivato all’Italia (INFR(2014)4231) per il recepimento non corretto nell’ordinamento nazionale della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, che impone di non discriminare a danno dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

La normativa italiana non previene né sanziona in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico in Italia. Tra questi, insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola pubblica, operatori sanitari, lavoratori del settore dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e del settore operistico, personale degli istituti pubblici di ricerca, lavoratori forestali e volontari dei vigili del fuoco nazionali.

Alcuni di questi lavoratori hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell’Unione. La Commissione ha avviato la procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora alle autorità italiane nel luglio 2019, seguita da una lettera complementare di costituzione in mora nel dicembre 2020.

Sebbene l’Italia abbia fornito spiegazioni sulle proprie norme nazionali, la Commissione le ha ritenute non soddisfacenti e dà ora seguito all’esame con un parere motivato. L’Italia dispone ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’UE.
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Il Parlamento ha approvato recentemente in via definitiva la revisione del regolamento sull’uso del suolo, sul cambiamento di uso del suolo e sulla silvicoltura (LULUCF), che mira a valorizzare i pozzi naturali di assorbimento del carbonio, per rendere l’UE il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, e promuovere la biodiversità in linea con il Green Deal europeo. Il testo è frutto di un accordo con i governi dell’UE.

Per il 2030, l’obiettivo UE per gli assorbimenti netti di gas serra nel settore LULUCF è fissato a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, con un aumento di circa il 15% rispetto alla normativa in vigore. Questo nuovo obiettivo dovrebbe portare a una riduzione complessiva dei gas serra nell’UE pari al 55-57% rispetto ai livelli del 1990.

Per gli assorbimenti e le emissioni nel settore LULUCF, i Paesi dell’UE dovranno rispettare gli obiettivi nazionali vincolanti per il 2030. Questi obiettivi sono basati sui recenti livelli degli assorbimenti e sul potenziale per ulteriori assorbimenti.

In base alle norme attuali, che resteranno in vigore fino al 2025, i Paesi dell’UE devono garantire che nel settore LULUCF le emissioni non superino gli assorbimenti. Dal 2026, gli obiettivi annuali vincolanti saranno sostituiti da un bilancio quadriennale per il periodo 2026-2029.

Per raggiungere i loro obiettivi, gli Stati membri possono acquistare o cedere i crediti di assorbimento maturati nell’ambito del regolamento LULUCF e del regolamento sulla condivisione degli sforzi, anche questo approvato martedì. È previsto anche un meccanismo che garantisce agli Stati membri di ricevere un risarcimento in caso di catastrofi naturali, come gli incendi boschivi.

Il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni e degli assorbimenti saranno migliorati, anche attraverso un maggior uso di dati geografici e telerilevamento. In questo modo si potranno seguire con più precisione i progressi compiuti dai paesi dell’UE verso il conseguimento degli obiettivi.

In caso di progressi insufficienti, gli Stati membri saranno obbligati ad adottare misure correttive. È prevista anche una sanzione per le inadempienze: all’obiettivo per il 2030 sarà aggiunto il 108% dei gas serra eccedenti il bilancio previsto per il periodo 2026-2029.

Per garantire che l’obiettivo UE sia raggiunto, la Commissione presenterà una relazione sui progressi compiuti entro sei mesi dal primo bilancio globale concordato nell’ambito dell’accordo di Parigi. Se necessario, la Commissione darà seguito con altre proposte legislative.

Il testo deve ancora essere formalmente approvato anche dal Consiglio. Sarà quindi pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

La revisione del regolamento LULUCF fa parte del pacchetto “Pronti per il 55% nel 2030”, che è il piano dell’UE per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, in linea con la Legge europea sul clima.
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La Commissione europea ha deciso di avviare una procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora all’Italia (INFR (2022)4024) perché il suo regime di reddito minimo non è in linea con il diritto dell’UE in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, diritti a lungo termine residenti e protezione internazionale.

Una delle condizioni per accedere al “Reddito di Cittadinanza” in Italia è di aver risieduto nel Paese per 10 anni, di cui due consecutivi, prima di richiederlo. Ai sensi del Regolamento 2011/492 e della Direttiva 2004/38/CE, le prestazioni di assistenza sociale come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza. Inoltre, dovrebbero poter beneficiare del beneficio i cittadini comunitari che non lavorano per altri motivi, con la sola condizione che risiedano legalmente in Italia da più di tre mesi.

Inoltre, la direttiva 2003/109/CE prevede che i soggiornanti di lungo periodo extracomunitari abbiano accesso a tale beneficio.

Pertanto, il requisito della residenza di 10 anni si qualifica come discriminazione indiretta in quanto è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio. Inoltre, il regime italiano di reddito minimo discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale, che non possono beneficiare di tale beneficio, in violazione della direttiva 2011/95/UE.

Infine, il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavoro fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al rientro in Italia. L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere alle preoccupazioni sollevate dalla Commissione. In caso contrario, la Commissione può decidere di inviare un parere motivato.
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