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Il Parlamento europeo informa sul proprio sito di “esser pronto a avviare i negoziati con i governi UE sulla direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni”.

Nel testo adottato, il Parlamento europeo afferma di voler abolire il segreto salariare nelle clausole contrattuali. Propongono infatti che le aziende dell’Unione europea con almeno 50 lavoratori dovrebbero vietare le condizioni contrattuali che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione, ed invece divulgare ogni divario retributivo di genere esistente al loro interno. Gli strumenti per la valutazione e il confronto dei livelli retributivi e i sistemi di classificazione professionale devono basarsi su criteri neutrali sotto il profilo del genere, dicono i deputati.

Se le informazioni sulle retribuzioni rivelano un divario retributivo pari o superiore il 2,5%, i datori di lavoro, in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, dovrebbero condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d’azione per garantire la parità.

Inoltre, l’Assemblea di Strasburgo chiede alla Commissione europea di creare una denominazione ufficiale per le aziende che non presentano un divario retributivo di genere. I deputati europei sostengono la proposta della Commissione europea di spostare l’onere della prova sulle questioni legate alla retribuzione al datore di lavoro. Nei casi in cui un lavoratore ritiene che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e porta il caso in tribunale, la legislazione nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a provare che non c’è stata discriminazione, piuttosto che il lavoratore.

I negoziati sulla forma finale della legislazione potranno cominciare presto, dato che il Consiglio dell’Unione ha già approvato la sua posizione comune nel dicembre scorso.

Ricordiamo che il principio della parità di retribuzione è sancito dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Tuttavia, il divario retributivo di genere nell’Unione continua ad attestarsi attorno al 14% nel 2019, con variazioni significative tra i Paesi UE, ed è diminuito solo in minima parte negli ultimi dieci anni.
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Lo sapevate che il Comune di Imola ha promosso un’azione in favore di un maggior equilibrio nella distribuzione di toponimi femminili e maschili nel territorio? Da quale presupposto arriva questa originale azione che nasce dopo uno studio della Commissione pari opportunità del Comune? Visto che l’intitolazione di spazi urbani a personaggi che hanno rivestito un ruolo significativo per la comunità locale e per la società ha valore simbolico e di riferimento identitario della comunità stessa e che i toponimi servono ad orientarsi e conoscere il territorio, il consiglio comunale e la giunta comunale hanno approvato dal 2015 con proprie deliberazioni l’adozione di una politica di genere nella toponomastica con l’attribuzione dei nomi delle donne della Costituente ed altre protagoniste della nostra storia. Lo studio della Commissione parità è stato sostenuto da alcuni istituti scolastici imolesi aderenti al progetto nazionale “sulle vie della parità” indetto da Toponomastica femminile. Per la cronaca, prima di queste delibere lo squilibrio tra toponimi maschili e femminili era clamoroso: 387 a 21! La fonte di questa notizia è tratta dalla nostra pubblicazione “Le buone pratiche in Italia della Carta europea”
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