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Un approfondimento dell’AICCRE su quanto sta avvenendo in Polonia dopo il triste primato che l’ha vista primo Paese omofobo tra quelli dell’UE. Quel che emerge è il contrasto tra una opinione pubblica tollerante ed una classe politica poco sensibile ai diritti umani. Gli enti locali reagiscono: due comuni europei interrompono i gemellaggi con due comuni polacchi. L’impegno del CCRE/CEMR e dell’AICCRE. Una battaglia di civiltà contro tutte le forme di discriminazione.



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Essere liberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetta e valorizza la libertà degli altri, diceva Nelson Mandela. Non siamo ancora liberi, purtroppo: persistono in molti Paesi d’Europa e del mondo, anche in questo periodo di pandemia, forti discriminazioni nei confronti degli orientamenti sessuali delle persone.
Discriminazioni che costituiscono “una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani che trovano, invece, specifica tutela nella nostra Costituzione e nell’ordinamento internazionale”, come ha sottolineato il 17 maggio Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia.
La lotta contro l’omofobia è soprattutto lotta di civiltà che si estende a tutte le forme di discriminazione: la legislazione europea rende illegale la discriminazione sul luogo di lavoro o nella formazione fondata sulla religione, disabilità, razza, origine etnica, età e orientamento sessuale. Tuttavia, anche nell’UE esistono incredibili storie di omofobia: sono già 86 gli enti locali che in Polonia hanno istituito le zone franche dove gli omosessuali non sono tollerati, adottando 91 provvedimenti nei quali l’omotransfobia è permessa e azioni violente contro la diversità sono tollerate.


Che succede in Polonia? Tra imbarazzo e contraddizioni

Secondo la nuova “Rainbow Europe Map”, resa nota a ridosso della Giornata mondiale contro l’omofobia da Ilga Europe (International Lesbian and Gay Association – Europe), la Polonia è il leader omofobo dei Paesi dell’Unione Europea. La Polonia appartiene a un gruppo di 6 paesi dell’UE in cui gay e lesbiche non possono sposarsi. Gli altri Paesi sono: Romania, Bulgaria, Slovacchia, Lituania e Lettonia. Non esistono restrizioni di questo tipo negli altri 22 Stati membri.

È stato evidente l’imbarazzo di molti media polacchi al non certo prestigioso primato del proprio Paese. La maggior parte di essi ha reagito con grandi enfasi ed approfondimenti sul triste primato del loro Paese. “Abbiamo ottenuto questo titolo vergognoso nella classifica europea più importante per quanto riguarda la ricerca sull’uguaglianza LGBT”, ha commentato il giornale polacco Oko.press che ha tenuto a precisare “che la ricerca dalla quale è scaturito il marchio di omofobia non riguarda l’opinione pubblica, ma la legislazione nel Paese”. “Il 79% degli omosessuali polacchi ha paura di violenze e per questo non si tengono per mano”, ha scritto Noizza.pl., denunciando che le “minacce a persone LGBT non sono prese sul serio”.

“Invece di metterci al passo con Malta, il Belgio e la Gran Bretagna, ci stiamo avvicinando sempre di più alla Russia”, Paese nel quale è “proibito promuovere l’omosessualità”, ha commentato Oko.press.

Finora la Polonia si era classificata piuttosto in alto su questo tema, ma, ci informa il giornale on-line polacco, “nel 2019 sono successi molti eventi negativi. Divieti molto frequenti sulle marce dell’uguaglianza. Divieti poi revocati dai tribunali, “il che non cambia il fatto che gli organi amministrativi – cioè i sindaci delle città, – emettendo queste decisioni hanno limitato significativamente la libertà di riunione”. Abbiamo perso il maggior numero di punti in questa categoria rispetto all’anno precedente, commenta amaramente il quotidiano. “Sono costantemente valutati molto male da noi: il diritto alla protezione della vita privata e familiare e crimini di odio e discorsi di odio. In Polonia non esistono affatto disposizioni legali, né per la protezione contro i crimini d’odio né per la protezione della vita privata”.

“Per anni al penultimo posto, abbiamo finalmente conquistato una posizione che riflette al meglio la situazione socio-giuridica delle persone non eterosessuali, ovvero l’ultima nell’Unione. Abbiamo davvero meritato questo titolo, il paese più omofobo dell’UE”, ha pubblicato amaramente in prima pagina polityka.pl.

“Realtà terrificante”, ha commentato Slava Melnyk, direttore dell’associazione Campagna contro l’omofobia, su neesweek.pl.

L’annus horribilis

Nel 2019, che molti commentatori polacchi hanno definito l’annus horribilis per i diritti civili, il divieto di marcia sull’uguaglianza è diventato una pratica costante dei sindaci, ribadisce neewsweek.pl “con piena consapevolezza che poi questi sarebbe stati annullati dai tribunali” . Li hanno vietati per motivi politici – ha commentato l’avvocato Karolina Gierdal di KPH (ong Campagna contro l’omofobia) davanti alla corte Uguaglianza a Rzeszów nello scorso marzo. La Polonia vede i voivodati (województwa) come prima suddivisione nel sistema enti locali, seguiti dai distretti (powiat) e dai comuni (gmina). I provvedimenti discriminatori sono stati presi, tra gli altri, da 4 voivodati, grandi regioni che interessano l’angolo sud-est del paese, e comprendono Lublino e Bialystok.



La maglia nera della Polonia per l’omofobia sarebbe stata ancora più nera se L’ILGA, non avesse assegnato tre punti in più alla Polonia per l’impegno di Adam Bodnar, Mediatore, che con il suo team ha promosso numerose attività in difesa degli LGBT. Tuttavia, il mandato dell’attuale mediatore Bodnar terminerà presto. “Non sappiamo cosa accadrà dopo la fine di questo mandato, chi diventerà il nuovo Mediatore e se la persona scelta dalla maggioranza attuale si impegnerà ugualmente contro la discriminazione”, scrive con preoccupazione il giornale.
Dai giornali polacchi emerge anche un altro fatto: il raggiungimento di tale risultato da parte della Polonia è la conseguenza di 30 anni di azioni volte ad impedire cambiamenti nella direzione dell’uguaglianza.
Il Sejm (la Camera dei deputati polacca) ha già respinto un totale di 10 progetti che regolano unioni omosessuali, il presidente Duda ha posto il veto alla legge sulla riconciliazione di genere, diverse volte i deputati hanno detto “no” all’ampliamento del catalogo dei crimini ispirati dall’odio. Nel dibattito presidenziale del 6 maggio, tutti i candidati alla carica suprema dello stato hanno risposto che non avrebbero firmato l’atto che avrebbe permesso alle coppie dello stesso sesso di sposarsi e garantire loro il diritto di adottare. Ci sono “questioni più importanti”, ha affermato Małgorzata Kidawa-Błońska, candidata alle elezioni presidenziali polacche del 2020, nell’anniversario della morte del transgender Milo e prima sull’anniversario della morte del 14enne Dominik di Bieżuń. Morti suicidi. La sinistra proporrà l’europarlamentare dichiaratamente omosessuale Robert Biedrón come loro leader.



Secondo molti osservatori, per il partito sovranista di maggioranza PiS (Prawo i Sprawiedlywosc), gli omosessuali sono oggi il nemico numero uno. Su questa idea il partito ha impostato la campagna elettorale per le europee di maggio: ora si prepara a fare lo stesso in vista delle elezioni, previste per l’autunno. Il ritornello usato da PisS è sempre lo stesso: “i valori progressisti occidentali non sono parte dell’identità polacca. Fra questi rientrano le comunità LGBT e le loro ideologie. Una minaccia alla storia, alla cultura, alla famiglia. Minaccia che deve essere annientata”.

Ma c’è anche chi attacca la Chiesa polacca, la quale, racconta l’attivista per i diritti delle persone LGBT Jakub Gawron al portale Wired Gawron, “attacca la nostra comunità più duramente che la politica. Marek Jędraszewski (arcivescovo cattolico polacco, ndr) ha usato per la prima volta il termine ‘piaga arcobaleno‘ che è stato immediatamente ripreso dall’ultradestra”. Gawron, insieme ad altri attivisti, ha creato una mappa interattiva di monitoraggio di tutte le Strefa wolna od lgbt, letteralmente zone libere da lgbt.

Se l’omofobia non è… un’ opinione

Tuttavia, un sondaggio condotto per Gazeta Wyborcza, svela che le unioni tra persone dello stesso sesso sono supportate da tre quarti degli abitanti delle città polacche di oltre 500.000. L’omofobia è quindi più diffusa nei piccoli centri e non è certo l’”anima” del Paese, quasi a testimonianza di una frattura tra società civile polacca e la sua classe politica.

Contro l’omofobia è scesa in campo anche la scienza: la società polacca che riunisce scienziati che si occupano di sessualità umana, ha adottato una risoluzione in cui si oppone agli attacchi contro le persone associate all’ambiente LGBT + e alle campagne che diffondono disinformazione su di loro. Ha invitato inoltre medici, esperti e attivisti a correggere la falsificazione e la calunnia.



Enti locali in prima linea contro l’omofobia

Ancora una volta, nella storia europea, gli enti locali si pongono all’avanguardia e reagiscono prima dei governi nazionali, offrendo lezioni di civiltà. Il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, nel febbraio scorso ha appoggiato pubblicamente una dichiarazione contro ogni discriminazione omofoba e a giugno ha parlato al Gay Pride della città.

Ma c’è chi ha fatto anche di più. “Noi eletti di Saint-Jean-de-Braye – hanno scritto i consiglieri comunali in una dichiarazione votata all’unanimità – riaffermiamo che si devono applicare i diritti umani a ogni essere umano senza discriminazioni, indipendentemente dal suo orientamento sessuale e dalla sua identità di genere. Chiediamo l’applicazione senza ostacoli delle libertà individuali di tutti“. Con queste motivazioni il comune francese ha deciso di sospendere il gemellaggio con il villaggio polacco, finché la risoluzione di Tuchów non verrà revocata.

Ha fatto eco al comune francese la città tedesca di Schwerte che ha interrotto lo storico, trentennale gemellaggio con il comune polacco di Nowy Sącz. “La decisione del vostro consiglio contraddice la nostra idea europea di diversità, e quindi il requisito per la comprensione internazionale”, ha scritto il sindaco Dimitrios Axourgos a Ludomir Handzl. – “Questo è inaccettabile per me e la città di Schwerte.”

L’impegno del CCRE/CEMR: “rispettare i valori europei”

Il CCRE/CEMR si è recentemente mobilitato, attraverso una lettera aperta firmata dal Segretario generale Vallier e da Broberg, uno dei due portavoce sulla gender equality, (l’altro è la nostra Silvia Baraldi, delegata AICCRE), nella quale, tra l’altro, si esprime il sostegno per i governi locali e regionali polacchi che resistono e continuano a rispettare e promuovere i valori europei fondamentali comuni di libertà e diritti umani.La lettera puo essere sottoscritta: clicca qui

AICCRE: riprendere il tema dei diritti umani

L’AICCRE sta accentuando il suo impegno nelle sedi europee ed internazionali nelle quali opera da anni a favore dei diritti delle minoranze, come per esempio all’interno delle sessioni del Consiglio d’Europa.
In una recente videoconferenza tra il Segretario generale del CPLRE del Consiglio d’Europa Andreas Kiefer e i membri del Segretariato del Congresso, l’AICCRE, preoccupata dalle tendenze di chiusura delle frontiere di molti Paesi, Carla Rey, segretario generale dell’Associazione, ha sottolineato come la pandemia da Covid-19 abbia modificato alcuni importanti temi che vanno assolutamente ripresi, come i diritti umani.
I dati danno ragione alla dirigente dell’AICCRE: per esempio, restando nel tema dell’omofobia, il 40% degli adolescenti italiani LGBT hanno subito violenza e discriminazione durante la quarantena, secondo una ricerca effettuata dal servizio Gay help on-line.

Tuttavia, la questione dei diritti non è legata a questo o a quel tema. L’AICCRE è infatti convinta che tutte le forme di discriminazione siano da affrontare e combattere a 360 gradi. In questo caso viene in soccorso la concreta Agenda 2030 dell’ONU che da anni in Italia L’Associazione sta veicolando ai nostri associati, attraverso eventi internazionali nel nostro Paese e formazione sul territorio. Ad Agenda 2030 va riconosciuto anche il merito di richiedere l’implementazione degli Obiettivi in accordo con i trattati internazionali sui diritti umani per far sì che i programmi e le politiche di sviluppo non inaspriscano le disuguaglianze e le intolleranze.

La lotta alla discriminazione, l’impegno per l’uguaglianza a tutti i livelli, la sostenibilità per l’AICCRE sono gli strumenti indispensabili per rimodellare le società di tutto il mondo, infiacchite ed impoverite dalla pandemia da Covid-19.

Un modo per riportare l’essere umano al centro del progetto perché, come ha detto il Capo dello Stato “tutti devono essere messi nella condizione di esprimere la propria personalità e di costruire il rispetto di sé”.
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Stefano Bonaccini, Presidente del CCRE/CEMR e dell’AICCRE, ha firmato un articolo apparso il 6 maggio sul prestigioso quotidiano spagnolo “El Pais”, nel quale ribadisce, tra l’altro, l’esigenza di misure straordinarie europee per il 2021 per garantire la continuità della risposta alle sfide economiche e sociali emergenti.Inoltre, emerge la necessità di una collaborazione multilivello per affrontare l’emergenza Covid-19. Occorre inoltre promuovere a livello globale la cooperazione verticale e orizzontale tra tutti i livelli di governo, nonché il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

L’articolo in italiano

La pandemia COVID-19 è una situazione senza precedenti per tutti i cittadini e per il territorio europeo, nonché per l’Unione stessa. Ad oggi, il numero di persone infette ha raggiunto più di 3,6 milioni e più di 257.000 persone sono morte a causa della malattia. E purtroppo queste cifre continuano a crescere di settimana in settimana.

Tutte le nostre vite sono state influenzate in un modo o nell’altro. Come Presidente della Regione Emilia-Romagna e del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (CCRE), sono stato testimone degli sforzi e dei sacrifici fatti dai nostri medici, infermieri, polizia, addetti alle pulizie, funzionari e volontari per proteggere i nostri cittadini e continuare a servire le nostre comunità.

Come spesso accade durante una crisi, i comuni e le regioni sono in prima linea. Giorno dopo giorno hanno assicurato la fornitura di servizi essenziali facendo tutto il possibile per fermare la catena del contagio. E l’hanno fatto in un contesto di grande difficoltà: deficit di reddito dovuto al crollo dell’attività imprenditoriale, al rallentamento dell’economia, o alla chiusura di teatri, musei e impianti sportivi.

In Italia, le città dovranno affrontare un deficit di entrate di circa 3 miliardi di euro. E in un momento in cui ciò di cui avevamo più bisogno era la solidarietà, la risposta iniziale degli Stati europei è stata scoraggiante. In molti paesi sono riemersi sentimenti nazionalisti, che hanno imposto l’embargo sull’esportazione di alcuni prodotti medici o hanno permesso l’espressione della xenofobia.

Se vogliamo ripristinare il benessere del nostro continente, tutti i governi, nazionali e subnazionali, devono lavorare fianco a fianco per combattere questo virus, che non comprende né confini né nazionalità. La rapida mobilitazione delle risorse da parte delle istituzioni europee è stata un passo incoraggiante. Tuttavia, dobbiamo andare oltre per superare questa crisi e prepararci per la prossima.

Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa e i suoi membri sostengono un’Europa forte e unita, basata sull’azione comune, sui valori condivisi e sulla solidarietà. Sebbene non sia stata concepita per rispondere a situazioni di emergenza, la politica di coesione europea ha più che dimostrato la sua utilità come cammino verso la solidarietà europea. La nuova Iniziativa di investimento della Commissione Europea per la risposta al Coronavirus (IIRC; CRII), che consente di utilizzare i fondi strutturali inutilizzati nel 2019 per aiutare i comuni e le regioni a far fronte alla crisi, fornisce un sostegno di cui c’è molto bisogno.

E’ vero che la nuova assistenza finanziaria non sarà sufficiente e sarà addirittura marginale rispetto ai piani di sostegno nazionali su larga scala in preparazione negli Stati membri. Pertanto, al di là della risposta all’emergenza, il CCRE esorta la Commissione a prendere in considerazione misure straordinarie per il 2021 per garantire la continuità della risposta alle sfide economiche e sociali emergenti. Più in generale, chiediamo alla Commissione europea di collaborare con noi e con gli Stati membri per includere le associazioni nazionali dei governi locali e regionali nei loro gruppi di lavoro immediati e a lungo termine sull’azione contro il coronavirus. Perché? Grazie alla nostra esperienza, alla nostra conoscenza della realtà sul campo e al nostro continuo contatto con i funzionari locali e regionali. Per tutti questi motivi, possiamo essere di grande aiuto.

In tutti i Paesi colpiti, e in particolare tra quelli più colpiti come nel caso dell’Italia, abbiamo visto che una risposta e un dialogo coordinato tra città, regioni e governi nazionali è stato fondamentale. Mentre entriamo in una nuova fase di graduale abolizione delle misure restrittive, i comuni e le regioni continueranno a svolgere un ruolo cruciale. Come ha osservato la Commissione Europea nella sua recente roadmap della strategia di uscita dal coronavirus: “L’abolizione delle misure dovrebbe iniziare dove c’è un impatto locale ed estendersi gradualmente alle misure con una copertura geografica più ampia”.

Una stretta collaborazione con i governi locali e regionali sarà essenziale per svolgere in sicurezza questo importante compito. Il calvario di covid-19 dovrebbe portarci a riflettere sulle nostre politiche e a prepararci per il futuro. La risposta immediata alla crisi non deve farci dimenticare la necessità di investire in settori orientati alla costruzione di un futuro prospero e sostenibile. Il Green Deal europeo e la strategia digitale europea sono passi nella giusta direzione e altri devono seguirli.

Questa crisi dimostra, ancora una volta, la necessità di un forte coordinamento internazionale e di territori resilienti. In quanto tale, l’Europa deve continuare a promuovere a livello globale la cooperazione verticale e orizzontale tra tutti i livelli di governo, nonché il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Si dice spesso che l’Unione europea adotti le misure necessarie in tempi di crisi. Se questo è vero, non dobbiamo rimanere passivi in questa tragedia. Dobbiamo sfruttare al massimo questo avvertimento per prepararci a un domani più sano e sicuro. Non è troppo tardi per unirsi e costruire un futuro sostenibile basato sulla solidarietà. I comuni e le regioni d’Europa sono pronti a fare la loro parte.

Stefano Bonaccini
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